Sono le 11:30: io sono sull’amaca a guardare le foto illustrate
di un libro.
Non so leggere perché papà non vuole che io vada a scuola.
Alla scuola di quegli “sporchi fascisti” come li chiama mio
padre.
La mia mamma non dice niente di questo.
Non potrà mai più dire niente.
L’ hanno uccisa i fascisti a bastonate.
Davanti agli occhi della mia sorellina.
Da allora, neanche lei non ha più parlato.
Papà non vuole dirmi il perché l’ hanno uccisa; ma
non ci si può aspettare una scusa valida da quei vigliacchi.
Sì, vigliacchi. Perché non si deve uccidere una persona,
indipendentemente che essa sia uomo o donna.
E’ mezzogiorno. Devo aiutare la nonna a preparare il pranzo.
Prendo coraggio e le porgo la domanda che mi ripeto da due giorni, anche
se preferirei non sentire la risposta.
Ho paura.
Ho molta paura.
Nei miei libri vedo delle ragazzine della mia età che sono spensierate,
non che hanno paura, come ne ho io.
Domando:“Dov’è papà?”
E la nonna:”E’ andato via, a nascondersi…”
“
Perché?”
“
Perché se lo trovano i fascisti, lo mandano in Germania!”
Mi spingo troppo in là con le domande
“ A fare cosa in Germania?”
“
E’ meglio che una bambina non sappia cosa succede in Germania!”
E’ inutile. Sapevo già la risposta.
La nonna mi dà due spiccioli per comprare il pane. Mi avvio con
i pensieri del mio papà in Germania ma, nella mia immaginazione,
non lo vedo felice.
Dopo aver comprato il pane mi avvio per andarmene quando sento due vecchietti
che dicono “…Ed hai sentito cosa fanno ai poveretti che vengono
deportati in Germania… nei lager?”
Io mi nascondo dietro una colonna perché se mi vedessero cambierebbero
subito discorso. Continuano:
“
No… ma mi hanno accennato che non li uccidono subito… ma li
fanno lavorare come disgraziati. E li picchiano, li bastonano…”.
A questo punto non riesco più a sentire; mi vengono in mente,
come gli incubi che ho di notte, le immagini dei fascisti che uccidono
la mia
povera mamma.
Scappo via.
Quando ritorno a casa ho ritrovato il controllo di me.
Sono già le 13:00; Non mi accorgo del tempo che passa per comprare
il pane. In effetti abitiamo a Lancenigo e devo fare una lunga strada per
arrivare al forno più vicino.
Ci sediamo a tavola ed io, mia sorella, la nonna ed il nonno e gli zii
cominciamo a pranzare sulla veranda.
Sono le 13:05; Siamo in casa per pranzare.
Ad un certo punto il terreno si mette a tremare;“un terremoto” penso
io; ma, subito dopo, il cielo pieno di sole splendente, diviene buio, come
se avessero spento la luce, come se avessero distrutto il sole… e
per qualcuno, è così.
Dopo ho capito: sopra le nostre teste passano tantissimi aerei, pronti
per bombardare Treviso.
Pronti per uccidere.
Non riesco a muovermi.
Dentro di me urla una voce sconosciuta di scappare, di mettermi in salvo.
Ma non riesco a muovermi. Ho troppa paura.
Levo lo sguardo dagli aerei e lo poso sui presenti, anche loro sono paralizzati,
la nonna ha la mano sul cuore come se stesse cercando di non farlo scoppiare: è terrorizzata.
La mia sorellina guarda in alto con la bocca spalancata in un urlo che
non esce. Comincia a tremare. Si fa bianca come un cencio. E poi cade dalla
sedia.
E’ svenuta.
Sembra che solo io me ne sia accorta.
Prendo quel coraggio che credevo di non possedere e mi avvicino a lei,
la prendo in braccio. Non riesco a fare niente. La tengo in braccio e piango.
Dopo un po’ si riprende e guarda in alto. Gli aerei se ne sono già andati
ma io non smetto di piangere…e non cerco neanche di trattenermi.
Piango per tutto quello che mi è successo negli ultimi anni… per
Mussolini che ci ha rovinato la vita, per Hitler che ci ha rovinato l’anima,
per il papà che è dovuto scappare, per la sorellina che non
parla, per la mamma morta, per le “camicie nere” che uccidono,
per la gente che viene uccisa…
Poi mi viene in mente: il papà!
Rimetto mia sorella nella sedia e, ancora con le lacrime agli occhi, scuoto
mia nonna che sembra in trance.
Le chiedo:
“
Dove si nasconde papà?”
“ Nei campi, verso il centro di Treviso”
-Non e possibile… è lì che si dirigono gli aerei; da
lì dove è venuto il boato; è lì che sganciano
le bombe contro i trevigiani, è lì il mio papà!-
penso.
Scappo.
Mia nonna non cerca di fermarmi. Lo sa che non mi fermerei.
Corro più in fretta che posso.
Corro come non ho mai fatto in vita mia.
Arrivo a Treviso.
Ma quella non è Treviso!
O almeno, non lo è più!
Ma a me non interessa delle macerie che sono rimaste della mia città,
mi avvicino sempre di più al campo dove il mio papà mi ha costruito
una piccola capanna di legno quando vivevamo ancora a Treviso.
Ma la capanna non c’è.
Non c’è neanche il campo dove io ed il mio papà giocavamo
quando aveva del tempo libero.
Della capanna di legno non restano che macerie.
Non posso piangere ora. Magari mio padre è là sotto. Vivo.
Scavo tra le macerie.
Le mani sanguinano. Fanno male.
Ma questo non ha alcuna importanza.
Ad un certo punto sento un lamento non molto distante da me.
Scavo in quel punto con tutta la forza che mi rimane in corpo.
Trovo una mano sinistra. La mano di mio padre.
La riconosco da quell’anellino che ha sul mignolo. L’ ho fatto
io, è di legno di fico, con sopra ritagliate delle foglioline d’edera.
Scavo nel terreno. Lo scopro totalmente.
Lui si alza e mi assicura di non aver niente, tranne una botta sulla spalla
ed un taglio sopra il sopracciglio destro. Mi dice tutto ciò dopo avermi
abbracciato… Non un abbraccio qualsiasi… L’abbraccio di mio
padre…che si sente salvato da quella capanna che abbiamo costruito
insieme.
Non c’è tempo da perdere; camminiamo verso il Centro. Già nei
punti di raccolta arrivano feriti. Mio padre si fa medicare e poi comincia
a cercare i superstiti. Io sono al suo fianco. Purtroppo troviamo più morti
che vivi…
Arriviamo tardissimo a casa della nonna. E’ notte fonda; noi siamo esausti;
la nonna che non sapeva niente di noi sembra impazzire dalla gioia nel rivederci.
Poi cominciamo a parlare. Papà ci spiega quel che ha sentito dire: ci
dice che a bombardare la nostra bella città sono stati gli alleati perché credevano
che Mussolini fosse all’ Hotel “Stella d’Oro” o forse
perché volevano tagliare le vie ferroviarie in modo che non arrivassero
viveri in Germania.
Questa notte non riesco a dormire.
Nella stanzetta che divido con il papà e la mia sorellina,
sotto le coperte, ammetto di essere stata miracolata.
E ho pianto come non l’ ho fatto per anni…
"Questa storia è stata tratta
dalle testimonianze di Ceccato Teresa, mia nonna.
Il 7 aprile 1944 gli alleati hanno bombardato Treviso, uccidendo molte
persone innocenti tra cui suo padre che era scappato per sfuggire ai
tedeschi, le sue amiche ed i suoi parenti; tutto ciò quando aveva
solo 11 anni”